E’ un periodo questo in cui si fa un gran parlare delle distanze.
Distanze sociali che sono assurte al ruolo di calibrare la resistenza del genere umano al potere di un virus, essere infinitesimale, che rischia di scardinare ogni ordinamento pregresso dei rapporti umani.
Un metro gli uni dagli altri, anzi meglio due. Anzi, meglio ognuno a casa propria con la percezione di vicinanza data soltanto dalle immagini sfocate o pixelate che giungono e raggiungono attraverso uno schermo.
La misura della distanza dovrà aggiungere un tassello alla sua scala numerica: millimetro, centimetro, decimetro, metro, UOMO, decametro, ettometro, chilometro.
Ma, esiste o è mai esistita una scala di unità di misure della distanza emotiva?
Esiste un luogo in cui siano conservate sotto vuoto e definite a priori le distanze emotive, come il campione del metro di platino iridio conservato a Sevres e che impone un canone fisso di misurazione di ogni tipo di spazio fisico?
Per quanto io sia avulsa e contraria ad ogni tipo di definizione, che impone, per definizione appunto, una serie di confini fissi e prestabiliti escludendo ogni possibile sfumatura al di fuori di esse, ammetto che farebbe comodo, per avere un metro fisso di valutazione, dare un nome alle distanze emotive tra le persone.
Perchè il silenzio, ad esempio, cambia radicalmente la dimensione della distanza se condito da un sorriso oppure da un volto teso, oppure ancora se riempie con la sua assenza di parole lo spazio racchiuso di due occhi che si guardano nell’anima o se ammanta un abbraccio della più elevata delle magie.
Così come i monosillabi assumono valore di distanza nettamente diversi se immersi nel calore di conversazioni dei sentimenti che non han bisogno di dialettica forbita o arroccati nelle corazze emotive che proteggono o isolano le parti.
E perchè anche i fiumi di parole quando escono possono essere scudi rampicanti intorno alla voce del cuore o ruscelli placidi in cui scorre ogni stilla di sentimento vero e di piacere.
Come decodificare allora tutto questo? Come renderlo certo, definito, misurabile?
Quanto si perderebbe, in termini di intensità emotiva, nel definire con misurazioni certe le distanze emotive? Quanto guadagneremmo in serena razionalità emotiva spegnendo il fuoco del dubbio dell’interpretazione soggettiva dei moti dell’animo?
Non si può dare una definizione univoca di ciò che per tutti uguale non è. Addirittura gli stessi sentimenti vengono dalla stessa persona misurati diversamente, da momento a momento.
Forse la distanza emotiva è già di per sé una definizione completa.