Ieri sera, poco prima che andassi a dormire, è balzata improvvisa alla mia mente una riflessione che ha finito per procrastinare non poco l’incontro con il sonno.

Una premessa la devo, a cornice di quello che scriverò poi, dato il recente diradarsi della mia presenza on line. I miei scritti si sono fatti più rari, radi, rarefatti e, se si vuole, fantasiosi e creativi. Non scrivo più tanto quanto prima, quando scrivere aveva per me la medesima funzione di una medicina curativa da assumersi più frequentemente possibile per rimanere a galla. Probabilmente scrivo meglio (o almeno questa è la presuntuosa impressione che ho del mio lavoro) e sicuramente con obiettivi che nel tempo son mutati e hanno cambiato prospettiva, proiettandosi dal ‘dentro’ al ‘fuori’.

Quello che succede a me è che, finalmente, sono impegnata a ‘vivere’ e a condividere con una persona reale, speciale, in carne ed ossa quello che in passato affidavo alle righe di un monitor.

Quello che succede a me, però, quasi fosse un contrappasso dantesco, è anche che, più o meno a partire dallo stesso momento, non mi sento bene. E allora gli acciacchi e il malessere, che rubano tempo, energie e soprattutto pensieri, finiscono per tenermi lontana da qui molto più di quanto vorrei.

Mi son trovata quindi a pensare a quanto possa essere diverso lo specifico modo delle persone, di reagire a quello che di spiacevole può accadere nella vita.

E l’immagine che mi è venuta in mente è quella di due alberi.

Il primo, che si piega alle forze della natura non per decretare la propria sconfitta, ma per continuare a crescere rigoglioso, non molto distante dal sorgere dal suolo delle proprie radici, se il vento vuole che sia così e non sia di contro conveniente lottarci contro per rimanere fusti dritti.

Ginepro Fenicio – legno dolce (immagine dal web)

Il secondo, coriaceo duro, rigido, che però si tronca di netto. Quasi soccombe al vento che spezza il suo fusto, ma poi la sua vita riparte, dalla deflagrazione della frattura, con nuovi germogli verdi.

Quercia – legno duro (foto personale)

Così come il ginepro, esistono persone che si modulano sugli accadimenti della vita, continuando a esistere rigogliosi nella loro interezza di uomini. Si piegano alle intemperie dei giorni ma, poco distanti da quello che sarebbe stato per loro il percorso più facile, breve e comodo, trovano la propria dimensione integra, fiorente e perfettamente definita in una nuova armonica figura di sè, nel mondo.

Sono persone dal carattere morbido, malleabile, flessibile, che non sottende per niente la debolezza che l’accezione negativa degli aggettivi potrebbe far intendere, anzi, posseggono in sè l’intelligenza sopraffina di adattarsi alle situazioni mantenendo ferma e viva la loro precisa intenzione di vivere al pieno delle proprie possibilità. Solo, se necessario,un pò più in là, se così vuole il sottile equilibrio delle energie impiegate e spese, nel far fronte agli accadimenti nefasti della vita.

Esercitano, in fondo, la sottile e straordinaria arte della ‘resilienza’, allenano la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

E hanno da me tutta la mia ammirazione. Un plauso sincero che viene dal riconoscere in me solo esigue scintille di queste capacità.

Io appartengo infatti alle persone come quercie.

Sono quelle che resistono ad ogni colpo con la medesima forza delle mura inespugnabili di Troia, arroccate schiene contro vento a resistere ai colpi della vita. Fusti dritti dall’aspetto incorruttibile e indistruttibile, armature coriacee, testarde e tese sui nervi.

Quello che accade se il vento della vita non soffia troppo forte, o solo per brevi periodi, è che oscillano anche violentemente sulle radici ben salde dei loro principi, ma poi tornano dritte in posa da guerrieri di falange compatta.

Ma quando gli accadimenti complessi trascinano l’esistenza in vortici feroci e all’apparenza interminabili, la cui durata sfianca la tenuta nervosa, accade che con schianto fragoroso o fibra dopo fibra, il fusto delle loro esistenze si spezzi e fracassi in terra.

Rovinano con la violenza di un crollo, può sembrare che sia tutto finito, che non si rialzino più, e talvolta accade. Ma spesso, mi piace pensare che sia così, la resistenza indomita delle loro fibre le porta a tornare a germogliare come il grande fusto di quercia squarciato e divelto, e ripartire dal punto esatto in cui il precedente equilibrio si era spezzato. E ripartono, rinascono, come fenici dalle loro ceneri, ricostruendo dalla fine apparente della loro vita di prima, un nuovo inizio, una nuova esistenza fiorente, quasi completamente rinnovata, se non fosse per le cicatrici che ne sfrangiano il midollo, coperto però da nuova linfa viva.

C’è da chiedersi quanta energia costi il fracasso rovinoso e la ripartenza da terra, ma sono le persone che attuano la tenacia testarda fin quasi alla stupidità, della resistenza come opposizione indefessa ad un’azione o ad una forza avversa che li porta a non cedere finchè non c’è il crollo, mai un attimo prima.

Io credo di appartenere a questa seconda categoria, e credo, se penso bene alle storie del mio passato e a quelle del mio presente, che mantenersi dritti contro ogni logica che avrebbe ritenuto una strada migliore quella di rendersi malleabili e morbidi al cambiamento, non mi abbia fatto molto bene.

Perchè il malessere che ho addosso da oltre un anno ormai, mi dice probabilmente che, senza che nemmeno me ne accorgessi, senza che facessi nemmeno troppo rumore, io alla fine ho fracassato a terra la mia corteccia. E, con la fatica di aver germogliato nuove vite troppe volte da schianti violenti di giorni passati sulla mia schiena, adesso che sarebbe finalmente arrivata una nuova stagione mite nella mia vita, stento a trovare le forze per farlo di nuovo.

Che non convenga quindi lasciare che le cose vadano, lasciarsi attraversare da ogni cosa, mollare le cime e vedere se, morbidamente piegata dal vento leggero della primavera, sia più logico, più sereno e probabilmente meno dispendioso in termini di energie, sorridere, sorridere sempre, anche quando si avvicina la tempesta?

Può la quercia stanca imparare a diventar ginepro, per arrivare a terra con calma invece che schiantarvi rovinosamente le sue fronde?

4 Replies to “Di legni che si piegano e legni che si spezzano”

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