È una sensazione strana quella di guardare il mondo dalla grande finestra chiusa di una stanza di ospedale, nei giorni in cui il tuo fisico ha fatto un clamoroso crack.

Lo stesso panorama, dentro e fuori la stanza.

Dentro, l’ottuagenaria signora del letto accanto al mio ripete carinamente le solite domande sui miei genitori, su mio figlio, sul padre di mio figlio, e soprattutto sul ragazzo che mi ha accompagnata qui in ospedale.

Ci siamo conosciuti un mesetto fa, mi aveva portato al mare il giorno di Pasqua, lì mi sono sentita male.

Mi ha accudito, sorretto, tranquillizzato, fatto ridere, a tratti, per sdrammatizzare. Mi ha voluto bene insomma, senza quasi conoscermi.

Mi ha portata qui. Si è presentato come il mio compagno per poter venire a salutarmi, dopo aver aspettato ore su una sedia in sala d’attesa al pronto soccorso, prima che decidessero di ricoverarmi. Io dentro, lui solo, fuori, ad aspettare notizie per me.

È tornato a trovarmi ieri mattina, facendosi un’ora di macchina, presentandosi di nuovo come il mio compagno, aspettando che tornassi dalle visite, salutandomi al volo prima di rimontare in macchina e rifarsi tutti i numerosi km necessari per correre al suo lavoro.

Che strano modo di iniziare una relazione.

La signora Francesca dal letto accanto al mio mi chiede: “Il tuo ragazzo non viene oggi?”

E io rispondo che oggi non viene perché aveva degli impegni prima di andare al lavoro e non aveva il tempo di venire.

Però l’ho sentito, spesso, nelle ore interminabili dell’ospedale, non mi lascia sola a lungo… e mi ha mandato i saluti anche per la signora Francesca. Appena si sveglia dal riposino glielo dico.

Nella stanza accanto un signore tossisce, forte, giorno e notte.

Fuori dalla finestra ieri c’era il sole… oggi piove.

È arrivato Aprile.

È ora di merenda. Dopo vedrò di riposare un po’. Comincio ad essere stanca, ma avevo voglia di scrivere.

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