In occasione della ‘celebrazione’ (…si fa per dire…) della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, dello scorso sabato 25 Novembre, vedo su Facebook questo video.

E mi trovo, quasi che fosse un portale tra la dimensione della realtà e quella del ricordo, a pensare al mio di padre.

Non credo di aver mai scritto di lui, del suo rapporto con mia madre, del rapporto con me e di quanto tutto questo abbia impregnato la mia vita, fino a poco tempo fa in modo inconsapevole, e oggi costituisca il modello da cui cerco di prendere le distanze, pur sentendolo cucito addosso ad ogni fibra del mio essere, come un marchio di fabbrica primigenio difficile da estirpare.

Non ricordo un abbraccio di mio padre, nella mia infanzia.

A sua difesa c’è da dire che io non ricordo niente o quasi della mia infanzia, della mia adolescenza, e anche di tante e tante cose ben più vicine in ordine di tempo.

Dimentico, vivo a compartimenti stagni. Scrivo una nuova pagina della mia vita e la mia mente fa tabula rasa di tutto quello che c’è stato prima, tranne che per qualche rarissimo fotogramma sparso qua e là. La psicologa a suo tempo mi disse che non era un buon segno, quello di non conservare ricordi diretti che non siano mediati da un oggetto, una fotografia, un racconto di altri. Forse è una dinamica difensiva, che si è talmente tanto consolidata da diventare il motivo principale per cui scrivo…la necessità, l’esigenza, la voglia di ricordare. Mi creo la mia personale scatola dei ricordi, scrivendo.

Non ricordo un abbraccio nemmeno di mia madre, nella mia infanzia.

Non ricordo un abbraccio di mio padre a mia madre, nella mia infanzia.

Però ricordo che giocava, con me e mio fratello. Ricordo di aver riso con lui da piccola. E infatti, raramente, capita ancora.

Mio padre non ha mai, e dico mai, chiamato mia mamma per nome. Rivolgendosi a noi figli è, ed è tutt’ora, la ‘mamma’, ma dovendo chiamare lei l’ha sempre chiamata, e dico sempre, e lo fa tutt’ora, per cognome.

Mia mamma non ha mai fatto un lavoro che potesse essere in qualche modo accettato, o apprezzato, in qualsivoglia delle sue declinazioni, da mio padre. E mia mamma, per tutta la sua vita ha sempre fatto, con notevole impegno e dedizione, la maestra elementare. Ma non andava bene, mai.

Così come non andava bene mai nessuno dei modi in cui mia mamma cresceva me e mio fratello. Uno sport non andava bene, un altro nemmeno, la musica neanche, le scelte scolastiche mai.

E battibecchi ogni giorno, tutti i santi giorni, più volte al giorno. Tensione da tagliarsi a fette. Ancora oggi, tutti i santi giorni.

Negli anni della mia adolescenza, l’unica frase che mio padre mi ha sempre detto, prima di uscire di casa con le mie amiche o coi primi fidanzatini è sempre e solo stata “stai attenta”. Impreziosita quasi sempre però dalla domanda “hai bisogno di soldi?” Mai una domanda su con chi fossi, dove andassi o, men che meno, quali fossero i miei stati d’animo, se fossi contenta o nervosa, se fossi innamorata.

Il controcampo di mia madre, devo dirlo per correttezza, era sempre che la gonna era troppo corta, la maglietta troppo scollata, o io troppo truccata, con la chiosa finale che recitava “attenta, perchè ad andar per quei buchi, sorton di quei ragni”…unico accenno, per chi non avesse colto il senso della frase, alla mia ‘potenziale’ attività sessuale…

Mio padre continua ancora a dirmi sempre e solo “stai attenta”, mia madre ha smesso, forse perchè ‘i ragni’ alla fine son ‘sortiti’…ma si è accorta che mio figlio non è niente male averlo intorno.

Tante volte mia mamma ha ripetuto a me, forse per sfogarsi un pò, che se non ci fossimo stati noi figli lei se ne sarebbe andata. Lo ha detto talmente tante volte fin da quando ero più piccola che io adesso, cresciuta storta ma in grado di reggere sulle mie spalle tutto il peso della decisione di lasciare il padre di mio figlio, le chiedo con estrema franchezza, da donna a donna, perchè davvero non se ne sia andata, perchè non se va adesso anche se è vecchia e malconcia…

Mi serve dirglielo, serve a me, per rimandare al mittente la ‘colpa’ della sua infelicità. Perchè io c’ero già, sottoforma di feto di quattro mesi, quando loro due si sposarono, e lei ha sopportato il peso della relazione con mio padre per ‘colpa’ mia, perchè c’ero io, sua figlia, loro figlia. E’ una cosa, questa, che mi ha rovinato la vita.

Secondo l’assioma per cui una figlia segue le orme della madre e cerca negli uomini suo padre, che ho ampiamente verificato sulla mia pelle, io ho vissuto da sempre in uno stato masochistico e autolesionista per cui io per prima parto dal presupposto che non merito quello che ho, che non valgo quanto so di valere, che sono destinata per nascita a volare basso.

Copio il modello di mia mamma.

E, guarda caso, le mie relazioni più importanti si sono colorite di violenze fisiche e psicologiche variamente declinate, dai calci a metà schiena perchè non scendevo le scale alla velocità ‘giusta’, fino all’essere definita ‘nano deforme sottosviluppato’ in modo talmente convincente che ‘se non ammetti di essere un nano, non ti cambio la lampadina delle scale’….

Ricerco il modello di mio padre.

Voglio loro un bene infinito e sono loro grata con tutto il cuore per tutto quello che di materiale hanno fatto e stanno tutt’ora facendo per me, ma il cerchio delle distorsioni affettive sono riuscita a romperlo. Il loop che si ripeteva in ogni relazione, in ogni comportamento a qualsiasi livello della vita, da quella relazionale a quella affettiva a quella lavorativa, si è fermato.

Sono guarita, forse, o sto lavorando per farlo, ma l’imprinting iniziale di mio padre e mia madre e del loro rapporto distorto si presenta ad ogni passo, ad ogni scelta, ad ogni confronto. Ora lo vedo, lo riconosco, lo so. E cerco di limitare i danni. E lo faccio in un modo forse drastico, ma per il momento funziona, è quello di cui ho bisogno per stare in equilibrio. Semplicemente, evito le relazioni. So che qualsiasi uomo a cui permetterò di avvicinarsi a me, avrà in sè il germe della denigrazione e della mancanza di rispetto, esattamente come mio padre, perchè se non fosse così io non sarei attratta da lui… so che io sarei succube, esattamente come mia madre. Sono stata costruita, impastata, modellata così.

Evito, è meglio. Per me, per mio figlio.

Merito di essere felice.

Fino al momento in cui mi accorgerò di esser davvero uscita definitivamente da questi meccanismi perversi, la risposta è e sarà ancora a lungo, ‘no, grazie’.

Sto da sola, che fa comunque meno male.

6 Replies to “Dear Daddy…”

  1. E’ come un pugno allo stomaco per me, quello che hai scritto, perché mi sono ritrovata in molte cose, anche se lo sviluppo degli avvenimenti, magari, è stato diverso. La mia risposta è stata sempre “no, grazie”. Ho raggiunto con questo un equilibrio, la scelta di essere sola, anche quando inconscia, ha sempre una ragion d’essere. Non conosco te, la tua storia particolare, non esprimo pareri e non do consigli, dico quello che è stato un bene per me. L’unica cosa che mi sento di dirti è questa: “Non sei sola, hai tuo figlio”. Scegliere di essere felici è l’unica scelta. In un modo o nell’altro. <3 <3 <3

  2. Scegliere di essere felici e’ l’unica scelta … ribadisco anche io. Cio’ che e’ stato non si puo’ cambiare ma lo si puo’ guardare in maniera diversa. Loro hanno fatto quello che erano in grado di fare e non poteva essere diversamente, si e’ genitori ognuno nella propria maniera ed e’ una cosa incontrovertibile. Sta a noi figli, una volta cresciuti, elaborarne le dinamiche, prenderne atto ed archiviarle. Decidere nonostante tutto di essere felici da soli o in compagnia. 😊

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